Partito Dadaista

La sequela del partito democratico suscita emozioni che trascendono la tradizionale partecipazione partitica e che costringono la mente del suo elettore ad allacciarsi le cinture di sicurezza.

Testacoda politici continui, contraddizioni plateali, chiasmi ideologici da brivido, figure di merda epocali (l’ultima? metti il nome nel simbolo, togli il nome dal simbolo), panni lavati in pubblico, rese dei conti, sprazzi di sublimità alternati a lotte nel fango. Personaggi distanti tra loro anni luce sul piano antropologico e politico eppure capaci di convivere, in un caleidoscopio di sensibilità che generano effetti psichedelici nell’osservatore esterno.

Le liste per le elezioni europee sono lo specchio di tutto questo: economiste bocconiane in tailleur, ereditiere di ONG falce e bisturi, attivisti LGBTQI+ radicalizzati, giornalisti devoti, grilline in fuga, guizzanti sardine, ex direttori di TV berlusconiana, presidenti di regione nelle diverse versioni (modello playboy da balera o funzionario del catasto).

Uno stupefacente, instabile, rissoso coacervo di esperienze, storie, linguaggi, culture politiche, che si rimescola e si ricombina incessantemente senza apparente logica né razionalità, riuscendo tuttavia a restare sostanzialmente coerente e uguale a sé stesso; un organismo costretto in un’eterna e ricorsiva mutazione, che inizia continuamente ma non si conclude mai. L’equipaggio vi è imbarcato con diritto di mugugno e le regole, quando ci sono, non si rispettano. Oppure si riscrivono. I leader, in questo schizofrenico rodeo, non guidano ma cercano di restare in sella il più a lungo possibile difendendosi dalle cornate a cui li sottopongono i compagni. Non si azzardi mai un segretario del PD a governare il partito: è l’unica funzione a lui severamente preclusa e non gli sarebbe mai perdonata.

In questo disordine dadaista le segreterie sorgono e tramontano, i gruppi dirigenti si avvicendano, le linee politiche si invertono, si intrecciano, si scambiano di posto; ma il blocco sociale che ostinatamente vota PD (i borghesi urbani tendenzialmente garantiti e agée, con i loro figli universitari) appare insensibile a tutto questo chiasso, un po’ come l’asin bigio del Carducci. I suoi elettori riconoscono, infatti, al PD un’aurea mediocritas che gli altri partiti disdegnano; apprezzano la sua capacità, in mezzo al bailamme, di imbottire gli spigoli e smussare – assorbendole – le asperità, facendosi concavo e convesso a seconda della bisogna; ritengono che esso sappia proteggere, in un modo o nell’altro, la Repubblica dai colpi di testa degli altri e non si aspettano (più) innovazione, ma salvataggio del salvabile. Chi ancora rimpiange la “sinistra”, qualsiasi cosa ciò significhi (temo nulla più che la memoria di un grande partito-mamma sconfitto dalla storia), vede infine nel PD la vestale del sacro fuoco, il custode di quell’antica tradizione – ormai fossile e inerte – che nessuno ha il coraggio di seppellire.

Non chiedete al PD l’avventura eroica, la cavalcata solitaria nella brughiera, lo squillo di trombe, l’assalto temerario al nemico. E’ infatti il sincretismo dadaista del PD che lo protegge dalla dissoluzione, ne assicura la resilienza e ne costituisce la risorsa ultima di sopravvivenza. Allo stesso tempo, quel sincretismo dadaista gli impedisce di suscitare speranze di rinnovamento e slancio ideale per l’inaugurazione di nuove stagioni politiche. In mezzo alla tempesta incessante – e alla faccia di tutti i profeti di sventura che da almeno una decina d’anni vaticinano la sua morte (grillini in primis, poi seguiti dai vari fuoriusciti delle frange liberali) – il PD non tradisce il suo profilo da guardia pretoriana della Repubblica, preserva così il suo zoccolo duro e attende la chiamata della Patria. Chiamata che nei tempi difficili è sempre arrivata e che quasi mai è stata tradita.

2 pensieri su “Partito Dadaista

  1. Una ammucchiata identitaria. Con la spocchia, rissosa, buonista, pavida e inconcludente. Il PD non solo non evolve, ma è il dinosauro che giustifica e sdogana tutte le possibili non evoluzioni e involuzioni della società pur di non evolvere. Vedi la sindrome 5 Stelle, anzi: 5 Stalle.

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