Quale PD nell’Europa del futuro?

Si fa un gran parlare delle candidature più controverse al Parlamento Europeo; trovo particolarmente interessante la discussione su Cecilia Strada e Marco Tarquinio, due personalità di assoluto spicco che hanno deciso di correre per il PD di Elly Schlein.

Entrambi sono ottime carte in termini di notorietà e reputazione: sono figure molto visibili, rappresentative di settori rilevanti dell’opinione pubblica, generalmente apprezzate anche al di là delle loro idee, caratterizzate da una forte dimensione “etica” e da posizioni nette su temi molto sensibili di questi tempi: la guerra, la bioetica, il genere, le migrazioni. Il solo fatto che se ne stia parlando molto – anche con toni di forte critica – conferma che le scelte sono elettoralmente efficaci, anche se pongono problemi di coerenza politica non da poco (e, alla lunga, tutt’altro che banali da gestire). La decisione di candidare Strada e Tarquinio alle europee è tutta politica e direttamente riferibile alle posizioni della segretaria; Schlein li ha presi a bordo per un preciso fine politico e questo fine politico va attentamente considerato.

Relativamente a queste due candidature rilevo due implicazioni distinte, che merita approfondire separatamente: la condanna morale dell’aborto di Marco Tarquinio e la contrarietà di entrambi all’invio di armi all’Ucraina.

Non vedo, sinceramente, problemi di rilievo sul primo punto. Molti cattolici militano nel PD, e penso che per ciascuno di loro l’aborto sia un tema doloroso. Ritengo che essi in larga misura condividano il giudizio personale di Tarquinio (che è poi quello della Chiesa e dei vescovi italiani, il cui quotidiano egli ha diretto per 14 anni) sulla negatività etica “assoluta” dell’aborto. Ma i cattolici del PD hanno fatto ampiamente pace con la legge 194/78, della quale condividono la necessità, e sono perfettamente capaci di distinguere tra catechismo e legge dello Stato. Né si è mai sentito Tarquinio esprimersi contro la 194 o richiederne aggiornamenti in senso restrittivo. Da questo punto di vista, anzi, è un bene che il PD possa accogliere al suo interno sensibilità diverse, a patto che continuino a riconoscersi senza alcuna incertezza nella legislazione attuale. L’aborto, peraltro, non è in agenda, non ci sono decisioni da prendere (neppure la cristianissima Giorgia intende toccare la 194) e, per quanto sia necessario vigilare sempre sulle minacce alle libertà della donna, non si vedono rischi che il PD possa trovarsi in difficoltà per questioni di pura coscienza dei suoi eletti su questo tema.

Ben diverso è il discorso delle armi all’Ucraina. Questo è un punto dirimente per l’Europa e per ogni forza politica rappresentata a Bruxelles; è un tema aperto, caldissimo, sempre in testa all’agenda. La guerrà è tuttora in corso e la minaccia di sfondamento russa è concreta; ci saranno voti da esprimere, soldi da spendere e l’opzione militare non potrà essere tolta dal tavolo finché lo stivale di Putin continuerà a schiacciare l’Ucraina e insidiare gli stati vicini. Ma non è tutto qui. La questione ucraina definisce i due campi politici globali di questo secolo e riapre una stagione di contrapposizione tra blocchi: da un lato le democrazie liberali di stampo occidentale, e tutti i popoli che aspirano a condividerne le conquiste; dall’altro le autocrazie orientali che intendono conservare, anche con la forza e con il sacrificio della libertà di interi continenti, la loro egemonia su quella parte del pianeta. Non percepire la sfida delle autocrazie o, peggio, rilanciarne la retorica come si vede oggi penosamente fare nelle università occidentali, sproloquiare di esotiche terze vie, percorsi non allineati, multilateralismo, negoziati di “pace” quando è la democrazia stessa ad essere sotto attacco significa lastricare la strada a Putin, Xi, Hamas e agli ayatollah iraniani.

L’attuale maggioranza politica europea, che sarà con ogni probabilità riconfermata e della quale il PD è parte integrante tramite il gruppo S&D, non devierà dalla linea di sostegno all’Ucraina, fin qui solidamente tenuta. Ma Tarquinio e Strada (tutt’altro che isolati: Jasmine Cristallo e Sandro Ruotolo, anch’essi candidati, hanno le stesse posizioni) non hanno fatto mistero di volersi opporre a decisioni sulle armi come quelle già assunte in sede nazionale e comunitaria. Qui il problema c’è, e consistente. E davvero non si vede quale fine Schlein stia perseguendo con queste due candidature se non la discontinuità sulle politiche proucraine inaugurate da Draghi e confermate da Meloni. Sì allarga così una crepa che per la verità la segretaria aveva già aperto, lasciando intendere una sua personale sensibilità tutt’altro che allineata a quella ereditata da Enrico Letta. Qui la diversità non è un valore né una ricchezza: l’idea di “pace” di Strada e Tarquinio è radicalmente difforme da quella maggioritaria in Europa, da quella storica del PD e da quella di S&D. Ed è, purtroppo, molto simile a quella di Putin. Su questo non sono ammissibili compromessi, né ambigue captazioni di benevolenza. Non c’è un punto di caduta comune tra le due posizioni, che sono inconciliabili e con le quali neppure un partito plurale e aperto come il PD può ciurlare nel manico.

Durante la campagna elettorale tutto viene macinato nel tritacarne della propaganda, e di fronte ai Vannacci e agli Sgarbi, al votagiorgia, ai candidati pistoleri, ai defunti nel simbolo, alle baruffe chiozzotte dei liberali, alle boiate dei populisti in giallo né Tarquinio né Strada appaiono un problema serio; ma dopo le elezioni la politica internazionale presenterà il conto, e sulla lama di rasoio dell’Ucraina la Schlein non potrà stare in equilibrio senza farsi del male. Se lo spin neutralista impresso al PD si consoliderà, il partito si troverà isolato in Europa e in occidente, diventando un partner imbarazzante per la comunità democratica internazionale. Ma anche se non si consolidasse, il PD finirà per parlare con due voci antitetiche: mentre una risulterà consonante con quella di Biden e Macron, l’altra sarà perfettamente conforme a quella delle destre putiniane, di Orbán, di Vannacci, di Salvini, di Santoro, di Conte.

Mi auguro che la segretaria abbia misurato bene i suoi passi, che abbia valutato l’impatto delle sue scelte e che si accontenti di lisciare un po’ il pelo alla galassia pacifista senza arrivare a posizionare il PD dalla parte sbagliata della storia. Ma anche così, il contributo politico e strategico del PD alla sicurezza e al progresso dell’Europa resterebbe ben poca cosa, riducendosi a un poco decoroso susseguirsi di astensioni, distinguo, voti in difformità. Lasciare la difesa convinta dell’Ucraina ai popolari, ai liberali, ai conservatori e alla sinistra responsabile (quella di Glucksmann in Francia, per esempio, ma anche quelle di Pedro Sanchez in Spagna e – fuori dall’UE – di Keir Starmer in UK) potrà forse alleviare i meditabondi scrupoli delle anime belle che rifiutano di guardare in faccia la realtà della minaccia russa; ma lavarsi via dalle mani la polvere e il sangue delle bombe putiniane non farà che isolare ulteriormente il partito relegandolo nelle retrovie dell’irrilevanza, senza avvicinare di un centimetro la concreta prospettiva di una pace giusta ai confini orientali dell’Unione.

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