Non chiamateli “gli studenti”

Ieri, martedì 16 aprile, circa 300 manifestanti organizzati si sono scontrati con la polizia rimediando manganellate e menando a loro volta i poliziotti.

A questo gruppuscolo di manifestanti Israele non piace; vorrebbero bandirlo dalla comunità scientifica e forse umana, molti li considerano occupanti illegittimi della loro terra (“from the river to the sea…“). Nello specifico, costoro contestano l’accordo di collaborazione tra il ministero israeliano dell’Innovazione, Scienza e Tecnologia (MOST) e il ministero italiano degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale (MAECI), per il finanziamento di progetti di ricerca tra i due paesi in vari ambiti scientifici; chiedono al Senato Accademico della Sapienza di non partecipare al bando, di eliminare tutte le collaborazioni attive tra la Sapienza e le università israeliane, l’industria bellica e le forze armate italiane, e chiedono le dimissioni della rettrice dell’Ateneo, Antonella Polimeni.

Il Senato Accademico della Sapienza, l’organo di indirizzo, di programmazione, di coordinamento e di verifica delle attività didattiche e di ricerca dell’Università al quale sono state così energicamente rivolte le richieste, è un collegio di 35 componenti. Vi siedono, oltre ai vertici dell’Ateneo, rappresentanti dei docenti di tutte le aree scientifico-disciplinari oltre a 5 rappresentanti del personale tecnico-amministrativo e 6 rappresentanti degli studenti; tutti i componenti sono democraticamente eletti dalla popolazione docente e studentesca dell’Ateneo. Per ciò che riguarda i rappresentanti degli studenti, in particolare, le ultime elezioni (2022) hanno fatto registrare 132mila aventi diritto al voto, 33mila votanti, 8 liste rappresentative di svariati orientamenti politici. Due di queste hanno ottenuto seggi al Senato.

Nella seduta di ieri, il Senato così formato ha sostanzialmente ribadito – all’unanimità – l’intenzione di proseguire le relazioni con la comunità scientifica israeliana, ricordando che “il carattere universalistico e libero della ricerca scientifica costituisce la condizione della sua stessa esistenza e la premessa necessaria affinché essa possa trasformarsi in uno strumento di incontro pacifico, scambio e comprensione tra popoli e culture”. E facendo così risuonare – assai opportunamente – le recenti inequivoche parole del Capo dello Stato.

Contro questa posizione, argomentata e sostenuta da un procedimento partecipativo, i 300 manifestanti hanno opposto il loro armamentario ideologico, sul quale non mi soffermo perché trovo si commenti da sé; essi – tuttavia – non hanno tentato la via della protesta, bensì quella della forza. Io credo che il diritto alla libertà di opinione sia sacro, ed entro certi limiti possa anche ammettere il ricorso alla forza per elevare il volume delle voci di dissenso. Non si è trattato di scontri particolarmente violenti e nessuno si è fatto davvero del male. Non mi scandalizzo né per le auto della polizia scassate, né per i cazzotti, né per i manganelli. Fa tutto parte del gioco democratico ed entro i limiti dei meccanismi democratici si è sostanzialmente rimasti anche ieri.

Ciò che mi scandalizza è la pretesa di questi gruppuscoli di rappresentare “gli studenti”. Non siamo negli anni ’70, oggi le università sono istituzioni aperte nelle quali si discute e si decide in modo non autoritario. Prova ne sia la difformità delle decisioni sul MOST: alcune università hanno discusso e deliberato l’uscita da quei programmi, la Sapienza no. A queste deliberazioni hanno partecipato anche i rappresentanti eletti dagli studenti, che nel caso della Sapienza hanno condiviso la scelta di non interruzione. Non esistono quindi “gli studenti”, esiste una popolazione di individui, ciascuno con la sua testa e le sue idee, che ha delegato ai suoi rappresentanti la difesa di quelle idee.

La protesta dei 300 si è pertanto risolta in un sopruso illiberale, irrispettoso della volontà diffusa degli studenti, non rappresentativo di altro che del pregiudizio antiisraeliano di quei 300 e dei gruppi politici minoritari ai quali appartengono. E’ sacrosanto che tale protesta si sia infranta prima contro il diniego del Senato e poi, quando è degenerata in atti violenti, contro i manganelli della Polizia.

Così funziona una democrazia.

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